SERGIO PADOVANI : ILLUMINATION DI UN CUORE DI TENEBRA.

La tradizione che associa il lato oscuro al male, ha portato non pochi problemi a qualunque essere nato del colore dell’ombra, dal gatto al pipistrello. L’epoca moderna e l’avvento della magrezza ad ogni costo hanno un poco riabilitato questa modulazione dello spettro, divenendo sinonimo di eleganza basica. Ma al di là di tutto ciò che i preconcetti posso insinuare, non è detto che un cuore di tenebra sottintenda paurosi segreti, anche se la sua esperienza gli fa sfruttare il tabù per smascherarlo. Sergio Padovani convoca una riunione di personaggi che costituiscono un’opera al nero e li pone forzatamente sotto i riflettori, per mostrare al mondo quella diversità che spaventa. Per sua stessa ammissione i suoi personaggi non sono figli, ma rappresentano semmai mille volte se stessi: la chiave della sua ricerca artistica – che sgorga dall’interiorità personale e dalle esperienze inconsce più che dal pensiero razionale e ragionato – è l’empatia. Personaggi musicali loro malgrado, impossibilitati a camuffare i propri gusti e le proprie mostruosità, se non ammantandole di un’oscurità protettiva. Sono costretti dal loro creatore benevolo ad essere coraggiosi per poter realizzare i loro desideri di felicità, invitati a danzare al centro di un’arena definita dal telaio dell’opera, che decide di volta in volta quale sia la realtà altra da giudicare. Le opere di Sergio Padovani sono popolate di esseri che ad una prima impressione spaventano per la loro diversità, ma che ad una più attenta analisi sembrano piuttosto desiderosi di protezione. Anche il loro modo di esprimersi li allontana dall’omologazione che rende invisibili, sogno anelato: la loro voce si palesa ad ogni pennellata come un sussurro ectoplasmico che si esprime con un lessico gotico che lo spettatore sembra ritrovare nei titoli: «l’Apocalisse ti dona»,« Il tuo silenzio è una voragine illuminata»,«il tuo corpo è dolce vilipendio» complimenti desueti, tentativi di seduzione sinceri e privi di cattiveria, o anche «Brucio all’inferno, anzi no vivo»,«nessuna resurrezione per i bambini cattivi», parole emesse con un sorriso bonario e non col ghigno con cui una società delusa ed immersa nei preconcetti li immaginerebbe. I personaggi di Padovani, stanno subendo l’evoluzione: l’opera di rassicurazione violenta messa in atto nel tempo dal’abile pennello del pittore sembra averli resi più forti nel sopportare la luce. Quello che sembrano compiere è un cammino che li porterà lentamente all’emancipazione da quel buio che cela, primo passo per una reale evoluzione sociale. Per questo la produzione di Padovani sembra subire una sorta di “deriva bianca”, che non toglie valore all’oscuro ma semmai lo impreziosisce, mostrandolo ancor più brillante come avviene per qualunque danza di opposti, capaci ad esaltarsi vicendevolmente.

«Questa lingua sarà dell’anima per l’anima, riassumerà tutto: profumi, suoni, colori; pensiero che uncina il pensiero e che tira».(Arthur Rimbaud, Lettera del veggente 18). Occhi bianchi e stralunati come uova sode pronte per essere mangiate, divengono portali per accedere ad un mondo di interiorità sofferente, che ha rinunciato al desiderio di accettazione in senso canonico e proprio per questo si è trovato a camminare sulla strada giusta. Non è più il smania accecante di normalità a guidare le figure; l’emotività rabbiosa, che è responsabile dell’errare necessitava di copiose quantità di grigio di payne per nutrirsi e proteggersi: al suo posto, una calma estatica. L’esito dei personaggi non dipende dal risultato: è proprio l’infrangersi delle illusioni a proteggere le stanche ossa del viaggiatore che solo con questa lucidamente potrà conquistare la meta. La ricerca che l’artista opera attraverso i corpi di tutti quei se stessi che vengono messi in scena, porta ad una confessione pubblica e totale che non può più nascondersi in nessun luogo protetto: è il momento cruciale in cui sarà possibile dimostrare la realtà raggiunta senza espedienti o scorciatoie. E così anche le voci taceranno non avendo più bisogno di sibili giustificativi; l’autodafé del pittore si compie in punta di pennello sostituendo l’oscurità con la luce, invertendo gli opposti in nome di un atto di fede ormai maturo. Padovani imprigiona volutamente nella sua inquadratura personaggi dichiaratamente mortali, seppure inquietanti, che invece di utilizzare il potere eternante dell’opera d’arte, se ne avvalgono per rimarcare la propria componente effimera e caduca, equiparandosi a qualunque essere umano. Padovani eternizza per loro l’istante supremo del desiderio di felicità a monito costante e comune, lasciando fuori dai limiti dell’intelaiatura tutta la storia che lo spettatore può solo immaginare muovendosi in un’oscurità memo manifesta ma non per questo più facile: un mezzo che all’artista serve per raccontare questa “rivoluzione di sentimenti” in atto in un dialogo serrato fra bianco e bitume. Il primo inteso come spazio che assorbe e divora divenendo carne – quindi personaggio anch’esso – e contemporaneamente sfondo. Il secondo spalanca l’uscio della voragine soggettiva generando l’unica possibilità di intuizione per coloro che si trovano a viverlo più che a subirlo. Una vera e propria “illumination” portata a compimento da un sincero cuore di tenebra.

Sergio Padovani è nato nel 1972 a Modena, dove vive e lavora

Mostre personali recenti:
2011 – Il lunedì è grazia e distorsione, a cura di Emanuele Beluffi, Piccola Galleria, Bassano del Grappa(VI)
L’Apocalisse ti dona, a cura di Viviana Siviero, Wannabee Gallery Milano
2009 -Il tuo corpo è un dolce vilipendio, lo sguardo dell’atro Modena
2007 Nessuna Resurrezione per i bambini cattivi, Sguardo dell’altro, Modena

Mostre collettive recenti:
2010-Marylin No More, Wannabee Gallery, Milano
Tracce, Castello di Sarzana/Casina, Reggio Emilia
2009 La bellezza e il disincanto, Piccola Galleria Asolo (TV)
Way Atelier Kkien, Milano
2008 Una quotidianità irreparabile, Lo sguardo dell’altro, Modena

Gallerie di riferimento:
Wannabee Gallery, Milano
Piccola Galleria Arte Contemporanea, Bassano Del Grappa(VI)

Testo monografico a cura di Viviana Siviero e pubblicato
su Espoarte #72 (www.espoarte.net)Agosto/settembre 2011