Risalendo “l’acceleratore Hindemburg”
Nella tela “L’acceleratore Hindemburg”, Sergio Padovani ci sfida a lasciarci sedurre dalla corrente dell’inconscio, ben consapevole di obbligarci, nella propulsione ascendente e allo stesso tempo discendente dello spazio interiore, allo sguardo altro, tanto attraente quanto arcaico romanticismo reso posticcio proprio dal suo protendersi nel vuoto.
E noi ci troviamo lì, a balenare nell’attimo del colpo d’occhio, quasi al termine della salita ramificata di arbusti e denti metallici. Impotenti padroni del nulla.
Stiamo risalendo la tastiera impalpabile, onirica di un pianoforte muto e indugiamo, incerti se proseguire o se ondeggiare tra i flutti.
Lamiere , fili, bracci e snodi diventano cielo e stelle inerti di un percorso terminale, reminiscenze quotidiane del passato che ci identifica e che non ci è mai appartenuto. Oggetti che paiono storpiati come in un risveglio.
Sopra, la vacuità del tempo è trafitta dalla baionetta incapace di fare fuoco, ma richiamo doloroso di congedi.
Quasi rifiutiamo di guardare al centro della scena per non restarne travolti.
Siamo noi, qui rappresentati?
Il corpo riaffiora quasi per intero tra gli ingranaggi di un argano: è la carne che cerca di liberarsi dal giogo della macchina? O al contrario è la macchina che fagocita la figura umana?
I germogli di un piccolo ramo seguono la scia della soffice barba, qui nell’assoluto una nuova forza di gravità si sta per manifestare, ma laggiù, da dove siamo partiti è presto.
La direzione umana è ancora indicibile, diversa per ogni sguardo che osserva.
Alighiero Guglielmi