EMANUELE BELUFFI INTERVISTA SERGIO PADOVANI. INQUISIZIONE PER KRITIKA


Sergio Padovani – Rivoluzione, cominci stanotte. Enjambement

Caro Sergio, tu sei un musicista di formazione. Le arti visive, nella fattispecie la pittura, sono arrivate dopo, molto dopo. In un certo senso sei un novellino, che tuttavia si è già guadagnato la sua fetta di mercato e visibilità. La tua produzione pittorica è piuttosto apprezzata un po’ a tutte (quasi) le latitudini del gusto e altitudini del mestiere: come hai fatto? Sei un autodidatta o hai seguito qualche scuola o ti ha insegnato qualcuno?

-Risposta azzardata se ti dico che probabilmente è la musica stessa ad essere stata una dei miei più influenti insegnanti di pittura? Cerco di spiegarmi meglio: l’essere totalmente autodidatta, evitando accuratamente scuole e maestri, credo porti a creare continuamente ponti di comunicazione tra elementi che apparentemente, non c’entrano l’uno con l’altro. Da un lato diventa faticosissimo trovare i percorsi tecnici e pratici, dall’altro c’è tutta la forza dell’imprevedibile, della scoperta e della ricerca. Io ho semplicemente scelto la strada che mi attraeva di più, abbandonandomi totalmente al mescolare le mie passioni (la musica ,ad esempio) con il nuovo sentiero che volevo intraprendere: la pittura. E ,inaspettatamente, questa serie di mescolanze obsolete e impure mi ha dato e insegnato tantissimo. Ora è impossibile cambiare!

Mi hai caldeggiato di non chiederti che musica suoni e ascolti e infatti me ne guardo bene, anche e soprattutto perchè non credo che alla gente là fuori freghi molto sapere che libri legge o che musica ascolta l’artista in questione. Però l’iconografia della tua produzione è piuttosto lapalissiana in proposito, nel senso che chiunque l’assocerebbe a uno stile, come dire, oscuro, greve, duro. Come avviene il passaggio da un mezzo espressivo all’altro? In che modo la tua pittura conserva le “vestigia” di una formazione musicale?

-Si è vero, c’è sicuramente contatto tra una musica abbastanza “oscura”e i miei quadri. Ma penso sia solo superficie: una specie di protezione, uno scudo messo lì per evitare che chi non ha voglia di scendere in profondità si avvicini comunque. Io stesso credo di avere questo atteggiamento nel rapporto con gli altri. La pittura, come la musica, necessita di grande approfondimento prima di trarre conclusioni definitive. Certo, c’è un primo impatto che è fondamentale e decisivo, ma è il voler conoscere di più che crea davvero la “passione” e il coinvolgimento o, al contrario, il rifiuto e l’allontanamento netto. Difficile è però, nel mio caso, spiegare come la musica influisca sul gesto pittorico e sui soggetti, semplicemente perchè è una condizione stabile! Quando componevo musica, tutto il significato era legato alla ricerca del suono giusto, dell’ insieme di strutture complesse che alla fine, quasi annullandosi reciprocamente, creassero la naturale “anima”del brano. Tutto questo succedeva grazie all’improvvisazione, alla passione e alla dedizione. Con la pittura il meccanismo è lo stesso, sperimentando e ricercando la pennellata giusta, la colatura che crea un nuovo sentiero da battere, l’errore che suggerisce nuove forme. Questa, a mio parere, è sempre improvvisazione. E’ come aver imparato a suonare con un altro strumento una nuova musica.

La tua ultima produzione s’è apparentemente chetata: “vai via nero” e ti sei dato al candore degli sfondi. Tuttavia le pastosità sono le stesse e permane una certa crudezza espressiva, sicuramente meno didascalica rispetto agli inizi del tuo corso pittorico, ma pur sempre incline a un apparato visuale “distorto”. Illuminaci.

-Il tuo “apparentemente”colpisce nel segno. In effetti, forse, invece che aver scacciato via il nero dalle mie opere, l’ho soltanto ricoperto con il bianco! Nel senso che, al contrario di quella che è poi la percezione generale, vedo il mio bianco molto più violento e invasivo: se prima il soggetto era avvolto dal buio e illuminato nelle sue “distorsioni”, ora lo sfondo candido, svelato improvvisamente, lo divora, lo cambia ,entra prepotentemente ad arrogarsi una posizione di personaggio nel quadro. E’ lui medesimo “distorsione”. Dal mio punto di vista è un nuovo elemento sul quale lavorare e con il quale far interagire i soggetti. Diciamo che ho voluto dare un afflato vitale anche al contenitore dei protagonisti delle mie opere.


Sergio Padovani – Il regno. Oppure il titolo potrebbe essere la gogna

Sovente organizzi le composizioni come per far annegare i tuoi personaggi dentro la superficie, i quali dunque non stanno SU ma proprio SOTTO il film pittorico, nel suo profondo. Si tratta ovviamente di un approccio visuale molto soggettivo e relativo a chi guarda il quadro, uno può vedere il soggetto raffigurato così come esso si presenta allo sguardo sulla superficie del quadro e la cosa muore lì. Però è evidente la teatralità delle trame narrative che soggiacciono alla tua produzione, apparato scenografico in cui i soggetti sono maschere, persone, interpreti. Chi sono i tuoi personaggi? Donde provengono? Dove vanno?

-Arrogantemente, mi sento di poter dire che quello che è visibile nei miei quadri è solamente la punta dell’iceberg. Mentre dipingo, non usando nessun tipo di riferimento, né foto, né disegni preparatori, assisto anch’io alla mutazione continua del soggetto e delle situazioni che lo circondano. Viene naturale quindi iniziare a ragionare sul perchè il personaggio assuma quella determinata posizione, o perché espliciti un’emozione in quel modo, o perché sia arrivato a decidere di abbandonarsi crudelmente allo sfondo. I miei “compagni di viaggio” sono creature inadeguate e distorte, carnefici delle loro sensazioni e vittime del mio impietoso bisogno di gettarli in pasto al pubblico. Vengono da un passato costellato di solitudini nel buio, da vecchi film muti intravisti da bambino, dall’amicizia con un vecchio cane, dai compagni di giochi solo immaginati, dall’abbandono forzato dei sorrisi, dalle voragini che all’improvviso si aprono sotto i piedi, dai ricordi sfocati di una bella giornata. Vanno verso la salvezza, vera o immaginata che sia. Ed è in quel momento che li ritraggo:quando la intuiscono.

Sergio Padovani – La deriva bianca

Secondo me l’arte non è mai mimetica. Ammesso e non concesso che l’arte sia platonicamente la copia di una copia, i tuoi quadri sono reali? Secondo te la pittura deve fare i conti col mondo esterno? E che ci sta a fare il mondo rappresentato rispetto a esso?

-Purtroppo credo che la pittura faccia, suo malgrado, i conti con il mondo esterno. Posso parlare della mia personale visione in proposito: ogni condizione giornaliera che mi trovo ad affrontare, come soggetto o anche solo come testimone, contribuisce a modificare l’approccio al quadro. Il sentimento con il quale si affronta il concetto di base dell’opera cambia, cambiano i punti di partenza e tutto si trasforma. Ecco perchè non sono per niente interessato a riprodurre persone o cose nella realtà del mondo esterno. Il contagio è già fortissimo, basta quello a saziare la mia voglia di umanità, nel senso di condizione reale dell’essere umano. Il mondo credo si rappresenti da sè e riportarlo fedelmente su tela, se un tempo era necessità, per me oggi, nell’era digitale, è totalmente inutile. Quello che mi interessa è lo spirito, l’anima del mondo esterno, contenuto in un gesto pittorico, conservato in un tono di colore, preservato nella corrosione di uno sfondo. La cosa fondamentale è che questa invasione dall’esterno è legata alla pittura in modo completamente involontario, almeno per quanto mi riguarda.

Sergio Padovani – Sempre bello il calvario

Non ricordo più chi, ma qualcuno disse che “la pittura è sintesi”. Brrr…Come nasce l’incontro con la pittura? (non mi riferisco a modalità biografiche, bensì concettuali. Insomma, cosa fai quando ti trovi davanti alla tela bianca?)

-Di sicuro il mio incontro, anzi, la mia dipendenza dalla pittura non ha niente a che fare con il concetto di sintesi, né pratica, né concettuale. Passano giorni senza che capisca quale quadro sto facendo, senza intravederne il soggetto e nemmeno lo sfondo. Continuo a lavorare fino a quando, come quasi fosse una concessione, si schiude davanti ai miei occhi una soluzione, una possibilità. La mia prima legge pittorica è quella di seguirla senza ripensamenti o indugi, è il filo di Arianna dell’opera. Per farla breve, questo accavallamento di pensieri, concetti e decisioni con pragmatici movimenti di pittura su tela costituisce la traballante e articolata struttura sulla quale pongo le basi per il concepimento del quadro. Dopodichè inizio a scendere in profondità, iniziando a legare le immagini alle parole che, magari, faranno parte del titolo, definendo le sensazioni, immaginando i suoni che potrebbero essere presenti nella situazione dipinta. David Lynch racconta che se vuoi prendere un pesce piccolo, puoi restare nell’acqua bassa. Se, invece, vuoi prendere il pesce grosso, devi scendere in acque profonde. Un buon modo di descrivere il concetto.

E ora cos’ha in cantiere la ditta Padovani?

-Dipingere. Continuamente e semplicemente. Poi proposte da valutare e la prossima personale alla Wannabee Gallery di Milano.


Sergio Padovani – La luna

Intervista a cura di Emanuele Beluffi,fondatore e direttore di Kritika Art Magazine (www.kritikaonline.net)
Courtesy Emanuele Beluffi

Link dell’intervista:
http://www.kritikaonline.net/?p=2639